Maybe you have to know the darkness before you can appreciate the light.
Madeleine L'Engle
Molte persone si assicurano che ci sia un’adeguata illuminazione delle varie stanze di casa loro, sia per valorizzare gli ambienti che per evitare l’affaticamento della vista, ma quasi nessuno si pone il problema della qualità intrinseca della luce, che non ha niente a che vedere con l’intensità (cioè la potenza) delle lampadine.
Ma allora, come si misura la qualità della luce?
Per comprenderlo è necessario fare un passo indietro. La prima sorgente luminosa che ha permesso lo sviluppo della vita nel nostro pianeta è il sole, ovvero una stella che brilla grazie a un processo di fusione termonucleare, generando una enorme quantità di energia che viene irradiata sottoforma di onde elettromagnetiche, e che riesce addirittura a scottarci a milioni e milioni di chilometri di distanza. A rendere il tutto ancora più incredibile è il fatto che l’intensità dell’irradiazione elettromagnetica (una grandezza vettoriale rappresentata con il vettore di Poynting e che si misura in Watt su Metro Quadrato) diminuisce con il quadrato della distanza, quindi ipotizzando che a 1 metro di distanza l’intensità sia 100W/mq, a 2 metri sarà 25W/mq, a 3 metri sarà 11W/mq, a 4 metri sarà 6W/mq, e via dicendo, con una decrescita appunto quadratica.
Dunque la quantità di energia che il nostro pianeta riceve dal sole è solo una infinitesima parte di quella che il sole genera, per dare un’idea di scala è come paragonare un granello di sabbia a una galassia. Eppure questa frazione quasi inesistente di energia che ci arriva è stata più che sufficiente a rendere il nostro pianeta vivibile e consentire lo sviluppo della vita. Viene da porsi una domanda, arrivati a questo punto: oltre all’intensità, che differenza c’è tra la qualità luce del sole e la qualità della luce artificiale davanti la quale trascorriamo (e trascorreremo) buona parte della nostra vita?
La differenza sta nella ricchezza dello spettro cromatico, ovvero nell’insieme dei “colori” che insieme formano la luce bianca. Nelle luci artificiali generalmente lo spettro è povero, molto discontinuo, quindi è composto dalla somma di pochi colori (o in termini più tecnici dalla sovrapposizione di poche onde EM monocromatiche di differente lunghezza d’onda). La luce del sole invece ha uno spettro continuo, con una quantità di “colori” o lunghezze d’onda infinita non numerabile. Non è possibile individuare righe spettrali o frequenze centrali.
Da un punto di vista oggettivo la luce del sole (schermata dai vari strati dell’atmosfera) presenta più benefici che rischi, altrimenti oggi non saremmo qui a parlarne. Perfino i temuti raggi UV-A e UV-B giocano un ruolo essenziale nella prevenzione di molte malattie più o meno diffuse: progressione della miopia, osteoporosi, depressione stagionale, etc. Come sempre bisogna proteggersi nelle ore di punta o in caso di esposizione prolungata a causa dell’elevata intensità della luce solare, ma fatta questa premessa esporsi a tale luce resta una delle migliori cure, o meglio strategie di prevenzione per numerose malattie, ad oggi conosciute. La luce artificiale presenta meno rischi immediati rispetto alla luce solare: nessuna emissione di raggi UV, bassa intensità tale da non richiedere occhiali da sole e precauzioni varie, nessun rischio di scottature. Apparentemente è la luce ideale. Ma la qualità, come già accennato, come si misura? Ci sono lampadine migliori e lampadine peggiori?
La risposta è sì. La qualità della luce si misura attraverso l’indice di resa cromatica (CRI – color rendering index), che ci indica quanto è completo lo spettro della luce in esame. I colori primari sono tre: rosso, verde e blu. Combinando questi colori in uguali proporzioni otteniamo il bianco. Variando le proporzioni possiamo ottenere infinite combinazioni tutte diverse, quindi infiniti colori. E mischiando in parti uguali n colori (assunto n->infinito) otteniamo sempre il bianco, apparentemente identico a quello ottenuto mischiando solo i tre colori primari. Quando si parla di luce nel mondo reale però la questione diventa leggermente più complessa, e la luce che si ottiene combinando solo i 3 colori primari è una luce bianca sì, ma risulta povera, con uno spettro incompleto, ovvero capace solo di valorizzare quei tre colori da cui è composta. Un oggetto marrone, rosa, o giallo ad esempio verrebbe illuminato in modo debole e alterato, tanto da sembrare quasi di un altro colore. Questo effetto si nota in maniera ancor più marcata con i lampioni per l’illuminazione pubblica con lampade al sodio, quelli che emettono luce arancione e che ultimamente sono stati sostituiti con luci bianche a led, molto più confortevoli per la vista. L’erba dei prati ad esempio sotto la luce arancione dei lampioni non sembra verde, e tutti i colori sono difficili da distinguere. L’indice di resa cromatica va da 0 a 100, e nel caso dei lampioni stradali è molto bassa, intorno a 20, mentre la luce più di qualità, quella solare, raggiunge 100. La luce bianca ottenuta combinando solo i tre colori primari si attesta intorno a 60, che è un valore decisamente scarso, per rendere l’idea la legge vieta l’installazione in edifici pubblici come scuole e uffici di illuminazione con indice CRI inferiore a 80. Infatti la maggior parte delle luci a neon o anche le più moderne a led si attestano proprio su quel valore, intorno a 80, che è confortevole per la vista. Laddove ci siano esigenze specifiche, come nei banchi alimentari del supermercato, vengono utilizzate luci ad alta resa cromatica, anche fino a 95/97. Va detto che questo problema della resa cromatica esiste solo con le lampade a basso consumo, poiché con le vecchie lampade a incandescenza o alogene la resa cromatica è sempre 100, esattamente come quella del sole, perché il principio di funzionamento è lo stesso: un corpo “opaco” che portato a una certa temperatura inizia a irradiare onde elettromagnetiche con uno spettro generalmente molto vasto, in particolare sopra i 3000 gradi kelvin.
Tuttavia, la bassissima efficienza delle lampade a incandescenza ha portato l’Unione Europea a bandirle di recente, infatti non sono più in vendita, anche se va riconosciuto che in termini di qualità della luce emessa detengono il primo posto. Esistono particolari lampade a xeno ad arco corto, quelle tipicamente utilizzate nei proiettori delle sale cinematografiche, che si avvicinano ancora più alla luce solare, sia come spettro (seppur complessivamente meno “ricco” di colori delle tradizionali lampade alogene) che soprattutto come temperatura di colore, dal momento che le alogene nonostante lo spettro della stessa qualità di quello solare hanno comunque un colore troppo caldo dovuto proprio ai limiti fisici del filamento in tungsteno che non può essere portato sopra una certa temperatura (3400°K), e dunque sono molto lontane dalla temperatura del sole a mezzogiorno, che si attesta a circa 6000 gradi Kelvin.
Alla luce di tutte queste premesse quindi, sappiamo con certezza che ad oggi non esiste alcuna lampada che produce una luce identica a quella solare, anche se le lampade a xeno progettate per simulare la luce solare ci si avvicinano molto, con costi e ingombri sproporzionati e adatte quindi solo ad applicazioni di nicchia, certamente non per illuminare una scrivania o un salotto, pertanto quando possibile la soluzione migliore in assoluto resta sempre quella di esporsi alla vera luce solare naturale, anche di inverno, per almeno un’ora al giorno, mentre nei luoghi chiusi il consiglio che ci sentiamo di darvi è di optare per le lampade a led ad alta resa cromatica, generalmente sulla confezione è riportata la dicitura “CRI 95” o “CRI 95+” o ancora “CRI97” , capaci non solo di creare in casa un’atmosfera più piacevole e naturale, ma anche più salutare per la vista.
Se hai dubbi in fase di acquisto o non sai dove procurarti lampadine ad alta resa cromatica, non aspettare, contattaci subito, saremo lieti di aiutarti!